Commercio equo e solidale: l'uovo oggi o la gallina domani?


Sempre più gente è attenta a ciò che mangia, sia dal punto di vista qualitativo che dal punto di vista della provenienza e, di conseguenza, degli effetti economico-sociali. Insomma, i consumat(t)ori crescono!


Non è un caso che catene di supermercati come Coop e Conad abbiano la loro linea solidale o che grandi multinazionali come Nestlè e Ferrero abbiano deciso di "impegnarsi" in questo tipo di commercio.
Se da un lato questo può essere un importante traguardo raggiunto, dall'altro, però, i dubbi non mancano: con quale senso critico una multinazionale decide di vendere prodotti provenienti da un circuito solidale, con un prezzo equo e rispettoso dei 10 principi ed, allo stesso tempo, vendere prodotti che non hanno questa certificazione? E' facile trovare su internet documentari sullo sfruttamento minorile in campi di cacao, o sul cotone, o sulle banane, o sul riso e così via.
Quindi, mi chiedo, è meglio premiare i prodotti con il marchio "fair trade" delle multinazionali, in quanto aiutano il "sud del mondo" e i piccoli produttori, oppure continuare a boiccotarli perchè potrebbe essere solo greenwashing?
Andare nei grandi supermercati super forniti o andare nelle piccole botteghe dove non sempre sappiamo se troviamo quello che cerchiamo?
Puntiamo all'informazione prima dell'acquisto, come avviene nelle botteghe di commercio equo, organizzatrici di eventi sul territorio o lasciamo al consumatore la curiosità di informarsi, vista la quasi assente informazione data nei supermercati?
Non so voi, ma io acquisto dalle Botteghe del Mondo!

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